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Guardare la Radio: il libro di Simone di Biasio

Sulla base della costante evoluzione del mezzo radiofonico e considerando l’influenza che la televisione sta avendo su di esso, sono tanti i pareri che circolano tra gli addetti ai lavori e non solo in riferimento al fenomeno della “radiovisione”. Un legame tra i due media ormai abbastanza consolidato, soprattutto nel network dei “very normal people” apripista di nuove sperimentazioni, avvenute anche con altre realtà radiofoniche, votate maggiormente alla realizzazione di canali televisivi “all music”. Un aspetto, questo, della contemporaneità mediatica, al centro del lavoro editoriale di Simone Di Biasio, autore del testo dal titolo “Guardare la Radio”, in cui è analizzata proprio l’evoluzione della “radiovisione”, grazie anche alla presenza di testimonianze di spicco a firma di note personalità della comunicazione.

Noi di Radiospeaker.it abbiamo incontrato Simone, il quale ci ha descritto l’iter condotto nell’elaborazione del suo libro, frutto anche di una ricerca universitaria, il cui tema, in ambito accademico, non è mai stato affrontato.

Ecco le sue parole nella nostra intervista

C’è un motivo specifico che ti ha spinto alla scrittura di un testo del genere, particolarmente rilevante data l’evoluzione della radio?

Si. La quasi completa e assoluta assenza di materiale teorico relativo alla radiovisione, su cui poter riflettere in riferimento a  questa novità tecnologica. Aprendo l’enciclopedia Garzanti si fa riferimento ai primi esperimenti degli anni trenta, maggiormente legati però alla televisione. Ma oggi, essendo un fenomeno abbastanza rilevante, ho pensato che sarebbe stato opportuno approfondire la questione a partire da chi ha deciso di fare “radiovisione”, quindi, cominciando dall’emittente lombarda, RTL 102.5, ma non solo. Da qui, infatti, c’è stata una schiera di emulatori  o semplicemente innovatori che hanno tentato di unire l’immagine al suono.

2)  Ma oggi pensi che sia positivo tale sistema di comunicazione o credi che in questo modo venga snaturato il concetto di radio?

Non mi reputo un “purista”. Penso che tale sistema di trasmissione sia un’opportunità in più, anche da un punto di vista economico. Mi piace citare ciò che dicono due studiosi di radiofonia: la radio ha espresso tutta la sua reale potenzialità nel momento in cui è arrivata la televisione, perché si è capita la sua specificità. E’ sicuramente un’ operazione discutibile quella di portare in radio personaggi reduci dal “piccolo schermo”, perché in questo modo la specificità si perde, però in una persona come Maurizio Costanzo bisogna riconoscergli la capacità di essere un innovatore. Infatti, negli anni ottanta aveva già tentato di sperimentare la radiovisione, anche se in maniera diversa, trasmettendo su RDS, per poche puntate, il “Maurizio Costanzo Show”.  Il risultato probabilmente non fu dei migliori, perché in quel caso il passaggio fu al contrario, ovvero, dalla televisione alla radio, perdendo forse qualcosa, a differenza del passaggio dalla radio alla televisione, in cui c’è l’aggiunta di qualche elemento. Insomma, non svaluto questa modalità di diffusione, a differenza di chi, come Roberto Uggeri, ex speaker di RTL, che ho intervistato in questa ricerca, pensa che la radiovisione sia uno snaturamento dell’emittente radiofonica nel suo concetto classico, ovvero solo suoni e voce.

La volontà di scrivere un libro del genere si lega a qualche tua esperienza radiofonica?

Ho fatto delle esperienze in questo settore nella mia zona, in provincia di Latina, poi ho collaborato a Radio Sapienza che per me è stata una fucina incredibile di dati,  grazie anche ad Andrea Pranovi, brillantissimo speaker ed esperto del settore. Il libro, oltre che da un interesse personale verso la radio, nasce da una tesi di laurea che ho discusso a luglio dello scorso anno, tra l’altro trattando un argomento di cui nessuno si era mai occupato in ambito accademico. Il mio stesso relatore mi chiese di capire se questo tema potesse reggere in ambito universitario. La tesi, trovando poi accoglienza nella casa editrice, mi ha dato la possibilità di colmare anche un vuoto di informazioni relativo a questo argomento.

 

 

Ci sono altri progetti editoriali a cui stai lavorando, incentrati sempre sul settore radiofonico?

Per il momento vorrei raggiungere piccoli obiettivi con questo libro, al fine di infondere maggiore chiarezza intorno al tema. Infatti,  se oggi cerchiamo sul dizionario il termine “radiovisione”, nella maggior parte dei casi il significato ci dice che è un sinonimo di radio-televisione, ma non è cosi. La mia ricerca intende dare una definizione chiara, affermando che si tratta di una precisa tecnologia. Un chiarimento importante che è il culmine del mio lavoro di ricerca, finalizzato a non creare fraintendimenti. La radiovisione non è sinonimo di televisione, in tal caso si passerebbe ad un altro mezzo. Questo attuale sistema di diffusione sta a metà. Ogni emittente fa degli esperimenti diversi. Vedi Radio Deejay, in particolare con Deejay Chiama Italia dove però si cerca di spiare nel “dietro le quinte”; infatti la telecamera rimane sempre fissa sugli speakers, anche quando non sono in onda. In questo caso, possiamo già parlare di televisione, non a caso il canale 9 del digitale terrestre è ormai di acquisizione americana, ed è un’emittente televisiva a tutti gli effetti, come  ad esempio per il canale DMAX o altri ancora.

Cosa ne pensi di Radiospeaker.it ?

L’ho sempre seguito con molto interesse, vi ringrazio per quest’opportunità di confronto sull’evoluzione della radio, anche in termini visivi, grazie a questa nuova tecnologia. Un saluto a voi.

Intervista a cura di Maurizio Schettino

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