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Il Settantasette delle Radio Libere

Gli anni Settanta sono stati un periodo storico, e un contesto socio-culturale, inscindibile dalla nascita delle nuove forme di comunicazione giovanili legate al movimento di contestazione iniziato nel ’68. Queste nuove forme di comunicazione si esprimevano innanzitutto tramite la radio. Migliaia di emittenti locali si diffusero in tutta la penisola.

Alla necessità impellente di molti giovani di esprimere liberamente i propri gusti musicali condividendoli con i radioascoltatori, si aggiunse in diversi casi, la volontà di usare il mezzo radiofonico come grancassa delle idee rivoluzionarie che accomunavano il mondo studentesco e operaio, e talvolta, forse sono questi i casi più felici, come laboratorio di linguaggi libertari, creativi, catartici, oltre che anticapitalisti.

Particolarmente emblematico per le radio è il ‘77 italiano, rappresentato dalle esperienze bolognesi e romane. Significativa è l’esperienza la vicenda di Radio Alice, a Bologna, chiusa il 12 marzo 1977, all’indomani della morte dello studente Francesco Lorusso durante una carica dei carabinieri.

Radio Alice era la radio del collettivo universitario bolognese, giovani che parlavano liberamente, fuori da schemi e da autocensure, che con due lire, tanta passione e tanta creatività misero su una radio dal niente. Trattavano temi sicuramente innovativi , per qualcuno anche scomodi. L’obiettivo era dar voce a chi non l’aveva: alle minoranze, a chi era escluso dai media tradizionali e a chiunque volesse esprimere liberamente la propria opinione.

Venivano affrontati temi importanti per l’epoca come il ruolo della donna, le lotte degli operai e degli studenti, veniva promossa e trasmessa l’arte, la musica alternativa, rivolgendosi per lo più ai giovani, informando e sperimentando, inventando veramente forme nuove di linguaggio, di comunicazione, di contatto e di partecipazione. Radio Alice, che trasmetteva da una piccola stanzina del centro di Bologna, ebbe man mano sempre più seguito, diventando una voce narrante importante del movimento universitario dell’epoca. Senza essere né un partito né una rivista, questa emittente si caratterizzò come il centro propulsore della contestazione bolognese.

La radio diventava spesso la sede del dibattito, soprattutto grazie alla trovata del microfono aperto, che divenne un elemento portante per i palinsesti delle prime emittenti private. La discussione e il dibattito trovavano in questo modo uno spazio collettivo e spesso incontrollabile anche per gli stessi leader del movimento. Ma l’aspetto culturale più significativo del rapporto tra radio e movimenti è quello del linguaggio. L’attenzione al linguaggio era un elemento caratterizzante per le prime emittenti private italiane, proprio per la natura stessa di quella radiofonia, più legata alle avanguardie storiche che non a esperienze politiche.

Questa matrice ha avuto un tale influsso sul linguaggio in generale e sul linguaggio della radio nello specifico che, a partire dagli anni Ottanta, l’intera radiofonia nazionale, compresa quella commerciale e del servizio pubblico, ha fatto proprio il bagaglio di esperienze della radiofonia privata producendo uno svecchiamento delle modalità comunicative della radio: le voci hanno smesso di essere solo maschili, adulte, senza inflessioni dialettali, impostate e asettiche e la radio ha scoperto un linguaggio meno ingessato, meno didascalico, ricco di dialettismi, modi di dire.

Nasce così un nuovo modo di fare radio, votato all’improvvisazione e, almeno inizialmente, ad una certa ingenuità. Tra emittenti più marcatamente politicizzate ed altre, viceversa, più spensierate, spicca in ogni caso il ruolo di primo piano finalmente assegnato alla musica: la radio diventa per molti ragazzi italiani una finestra sul mondo, un’occasione per incontrarsi e confrontarsi.

Queste esperienze così diverse trovano tuttavia un carattere comune e distintivo nella sperimentazione, nella proposta di nuove forme di comunicazione che portano una ventata di novità e trascinano nel cambiamento anche nei palinsesti del servizio pubblico. Ad esempio, l’uso intensivo delle telefonate in diretta, esperimento mai tentato prima, offre uno spazio inedito ai desideri di partecipazione degli ascoltatori.

La storia di Radio Alice è stata considerato per anni un capitolo chiuso, un passato remoto. Almeno fino all’esplosione del movimento nato a Seattle nel 1999, e battezzato a Genova nel luglio del 2001. In occasioni di queste contestazioni hanno preso il via sperimentazioni contro-informative come Indymedia e RadioGap, entrambi agenti su internet. Il progetto RadioGAP, progetto nato dalla collaborazione di diverse radio comunitarie in vista del G8 di Genova. E la rete sembra avere raccolto, grazie all’anarchica mancanza di regole, la funzione di spazio comunicativo aperto che appartenne all’etere per le radio degli anni Settanta. Improvvisamente Radio Alice non sembra più passato remoto, ma un passato prossimo, molto prossimo, a cui guardare per le sperimentazioni odierne.

Non a caso alcuni dei fondatori dell’emittente bolognese oggi curano progetti d’informazione indipendente sul web, o partecipano alla messa a punto del probabile erede delle radio libere: la tv di quartiere. Quella stagione venne celebrata da Eugenio Finardi con la canzone “La radio”, che enfatizzava la radio come strumento di informazione libera e “non invasiva”, ed esprimeva l’entusiasmo per un nuovo strumento di comunicazione. La stessa stagione celebrata dal film di Luciano Ligabue “Radio Freccia”.

Articolo a cura di Francesca Musacchio

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