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Antonello Dose del Ruggito del Coniglio si racconta a Radiospeaker.it

Radiospeaker.it questa settimana ha avuto il piacere di conoscere più da vicino Antonello Dose, autore e conduttore insieme a Marco Presta, dal 1995, della popolare trasmissione “Il Ruggito del Coniglio”, in onda sulle frequenze Radio2, ogni mattina dalle 8.00 alle 10.00. Una carriera radiofonica che affonda le sue radici nel teatro, insieme banco di prova e di preparazione a quella che successivamente si è rivelata l’amalgama di due forti passioni: la recitazione e la scrittura. Un risultato ottenuto con sacrificio e determinazione, trasformatosi poi in un vero e proprio ruggito capace, attraverso l’etere, di distribuire il sorriso ai tanti ed affezionati ascoltatori che ogni giorno seguono la trasmissione.

E’ appena terminata una stagione de “Il Ruggito del Coniglio”, quali le novità per la prossima?
Innanzi tutto, sarà l’edizione 16-bis, per scaramanzia, perchè il 17 porta male. (risate) A parte questo, ancora non vi è nulla di deciso in maniera definitiva, sicuramente saranno confermate cose della passata stagione che si mantengono ancora fresche e sfruttabili. Inoltre ci sono tantissime idee carine in ballo, ma non te le posso anticipare…sarebbe spionaggio radiofonico!

Parliamo un po’ di te.Come ha avuto inizio la tua carriera radiofonica?
Ecco, qui potremmo crearne una versione romanzata: “C’era un’eclisse di luna…”, “il cielo è stato attraversato da una stella…”, “ho intravisto un microfono luminoso nel cielo…” (risate) Sai, nella vita apparentemente le cose succedono “per caso”. Io e Marco Presta proveniamo da lustri di gavetta teatrale, che a mio parere è la base per qualsiasi tipo di attività di relazione. Entrambe abbiamo avuto la fortuna di incontrare un grande maestro di scrittura e di spettacolo, Enrico Vaime, grandissimo autore e umorista del nostro paese e a quel punto c’è stata la cosiddetta “botta di culo” o colpo di fortuna, che dir si voglia, perchè ci ha insegnato il mestiere. E’ stato proprio lui, in un momento in cui la RAI faceva sperimentazione e cercava dei giovani, a metterci in contatto con Dino Di Palma, dirigente RAI, ora scomparso e che ricordo con affetto, il quale ci chiese di fare una puntata “numero zero”. Questo “numero zero” gli piacque e ci mandarono in onda. Però dato che sono molto “coniglio” di natura, mandai in voce Marco, mentre io scrivevo per lui, mi occupavo della regia e di tutto ciò che riguardava l’organizzazione. Dopo qualche giorno, fu lo stesso Dino Di Palma a spronarmi ad andare in onda. In realtà, la sua fu un’intuizione giusta. Io e Marco siamo differenti, lui più mattatore ed io più timido, ma è stato proprio questo a dare vita a quella che è, ancora oggi, una dinamica molto curiosa. Ricordo infatti la prima puntata de “Il Ruggito del Coniglio” in cui io ero terrorizzato: la mia salivazione era azzerata. Inoltre in quel momento pensavo: “…e se adesso lanciamo un tema e non chiama nessuno?”

ASCOLTA L’INTERVISTA AD ANTONELLO DOSE:

C’era dunque anche il pericolo della “non telefonata” ?
Certo, non era così automatico, non si poteva sapere con certezza. Invece, il pubblico ha iniziato a chiamare, comunicando, tra l’altro, cose simpatiche e questo ci ha “gasato”. Così, a piccoli passi, ci siamo confermati. All’inizio, ricordo le mie prime puntate, in cui rimanevo prevalentemente in silenzio ed in cui facevo il ruolo di spalla pura, perchè ero molto emotivo, ma tutto ciò aveva, d’altro canto, degli effetti comici, che venivano riconosciuti dal pubblico: faceva ridere. Infine, io credo che, lo spettatore o l’ascoltatore, spera sempre che l’artista muoia in scena. Almeno può affermare: “io c’ero quando “quello” è schiattato sul palco”. Con il tempo poi ci siamo sciolti e adesso, “finchè dura fa verdura!” (risate)

Come rendi comica la telefonata di un ascoltatore noioso?
In base alla mia esperienza radiofonica, dopo tanti anni di diretta, posso dire che ciò che conta è la reazione dello stato vitale alla telefonata che arriva. Quindi, in primis, bisogna rendersi conto di come sta la persona che è dall’altra parte e se è proprio un “depresso”, magari si chiede alla redazione di parlare con qualcuno di più vivo.(risate) Però, ad esempio, a Radio RAI, pur essendoci il telefono in viva voce. dove si va in onda senza nessun tipo di filtro (proprio li si inseriscono alcune figure, tra cui “Antonello ti amo!”), si verifica in anticipo, per motivi legali, chi telefona. Questo perchè ci potrebbero essere persone che compiono dei reati, trattandosi di una diretta nazionale. In realtà non rappresenta un filtro, perchè va in onda chiunque, però diciamo che si è creata un’auto-regolamentazione, direi rara nel nostro paese. Qui è come se tutti sentissero responsabilità nel salvare questo meccanismo di gioco. Per me questa è una cosa davvero bella. 

Come crei valore attraverso la radio?
Cercando di fare sempre tutto al meglio e con un forte senso di responsabilità. Nella vita può succedere di tutto, può accadere di essere stanchi piuttosto che di cattivo umore ecc…ed il senso di responsabilità si inserisce proprio quando questa gioia di vivere non esce fuori. Immaginate: 20 febbraio, fuori piove, io esco di casa che ancora è buio, il telegiornale mi ha dato solo brutte notizie…e mi dico : “io oggi cosa posso raccontare ai miei ascoltatori?”. E’ proprio questa la situazione in cui mi dico: “devo fare il meglio che posso”. Tutto ciò non significa fare l’esaltato o il pazzo, ma che anche in quel momento cerchi di tirare fuori il meglio. Questo è già qualcosa, è uno sforzo che viene sempre apprezzato. 

Cosa consigli agli aspiranti conduttori e conduttrici radiofonici in questo periodo storico?
Direi di restare fedeli ai propri sogni. Tirate fuori i sogni dal cassetto perchè, se siete determinati, la vita vi offrirà l’occasione per realizzare ciò che siete.

Quanto conta la tecnica e quanto la personalità in radio?
Il mio maestro di teatro, Eugenio Barba, il primo che mi ha “rotto le ossa” all’età di 18 anni e che non smetterò mai di ringraziare, diceva: “il talento è la capacità di resistenza dell’attore e dell’artista”. Inoltre, bisogna comprendere se si fa un lavoro artistico per mestiere, o perchè si è artisti. Se lo si fa per mestiere è perchè si vogliono guadagnare dei soldi immagino; se si è degli artisti, non si può farne a meno. Dunque, il fatto di resistere fino ad arrivare ad un risultato, diventa fondamentale. Nel mio percorso, pur riconoscendo di avere avuto dei grossi colpi di fortuna, che però mi sono andato a cercare, su alcune cose ho dovuto aspettare. La notorietà, la radio ed il benessere economico, sono arrivati dopo tanti anni di gavetta. Ricordo un periodo, dopo circa dieci anni di teatro e dopo aver lavorato con i più bravi del mestiere, in cui sono rimasto senza lavoro. A quel punto ho fatto il facchino. Io andavo a fare i traslochi e devo dire che il fatto di entrare nelle case di persone che non conosci, trasportare l’ultimo scatolone con i pedalini, il giocattolo del bambino, la stampella “de nonno”, era un percepire la vita con un’apertura diversa. Nel momento in cui si ha bisogno di denaro per sopravvivere,si fa qualsiasi cosa, perchè comunque c’è un sogno che ti sostiene. Dato che è quella la cosa importante che vuoi realizzare, per quella fai qualsiasi sacrificio, non ti pesa nemmeno. Adesso, che le cose vanno bene non dimentico che ho passato quel periodo e rifarei tutto perchè, se tu continui a tenere questo sogno in piedi, la vita ti mette di fronte l’occasione giusta per te. Io non avevo mai fatto radio, in quel momento ho accettato la sfida. 

Cosa ne pensi di Radiospeaker.it?
E’ una cosa meravigliosa, non si può vivere senza, potrebbe essere messa come materia di studio nella scuola dell’obbligo, un bel laboratorio radiofonico ci vorrebbe nelle scuole. Certo poi, ci sarebbe un piccolo problema di concorrenza, arriveranno tanti giovani che saranno bravissimi, sapete al mio amico Marco Presta l’anagrafe comincia a strizzare l’occhiolino! (risate)

Articolo a cura di Catia Demonte

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