HomeMagazineIl Silenzio Radiofonico spiegato da Giorgio Zanchini, Giornalista di Rai Radio3

Il Silenzio Radiofonico spiegato da Giorgio Zanchini, Giornalista di Rai Radio3

Il silenzio radiofonico: un incubo per chi lavora alla radio, ma anche un elemento ricco di significati che, spesso, non trova spazio. Per dare un’idea di quanto detto, riporto cinque tipi di silenzio radiofonico, analizzati da Giorgio Zanchini, giornalista di Radio 3, nel suo intervento “Dietro la parola: il silenzio della radio”.

1. Il silenzio involontario.
2.Il silenzio temuto.
3.Il silenzio intenzionale.
4.Il silenzio soppresso.
5.Il silenzio imposto.

I primi due pendono sulla testa degli addetti ai lavori come una spada di Damocle. Ma vediamoli da vicino.

1. Il silenzio involontario.
Si deve spesso, spiega Giorgio Zanchini nel suo intervento, a disguidi o ad errori tecnici, burocratici di giornalisti, conduttori e personale tecnico provocando “infiniti rimpalli sulle responsabilità”. ‹‹Ha persino risvolti leggendari- scrive il giornalista di Radio 3- nel senso che una voce comune vuole che dopo trenta secondi di silenzio scatti un allarme al Viminale, giacché potrebbe essere in corso un golpe. Una verifica della credenza mi ha permesso di scoprire che dopo i suddetti trenta secondi scatta semplicemente un suono nella sala controllo di Via Asiago, a Roma, al quale segue un’eventuale copertura musicale che riempie il buco››.

2. Il silenzio temuto.
Non è altro che l’horror vacui (paura del silenzio), un vero trauma per i lavoratori della radio spesso accostato al “terrore dei tempi lenti, degli interlocutori verbosi, barocchi, ardui da interrompere”.
Un problema serio per le radio giovanili, che procedono a ritmi serrati, e meno serio per quelle di informazione, culturali o comunitarie dove i tempi lenti o i silenzi sono ancora accettati ma con moderazione.

A tal proposito, il giornalista fornisce un’esperienza personale: ‹‹Durante una trasmissione in diretta dall’Università orientale di Napoli rivolsi ad un docente di diritto musulmano una domanda sulle differenze tra il diritto di famiglia occidentale e quelli musulmani. Il mio interlocutore tacque per sei-sette lunghissimi secondi, poi abbassò la testa su un libro e cominciò a leggere l’introduzione. Fui percorso da brividi, e ho tardato ad interromperlo. In seguito sono stato richiamato dai miei superiori, temo a ragione››. Seguono i silenzi che, pur racchiudendo un significato, trovano spazio solo in casi eccezionali. Spesso sono evitati o eliminati.

3. Il silenzio intenzionale.
‹‹Sempre più raro, si deve alla decisione di chi sta al microfono o in regia e suggerisce o impone al conduttore di tacere, lasciare spazio al silenzio. Capita quando un’affermazione merita una reazione non ordinaria›› spiega Zanchini. Riportando la sua esperienza, il giornalista racconta di aver taciuto, per qualche secondo, dopo “parole spiazzanti o toccanti” ma anche per scelta. Ci sono momenti, infatti, in cui un intervento risulta decisamente inopportuno mentre il silenzio assume un significato ben preciso.

4. Il silenzio soppresso.
Implica “la perdita dell’autenticità, dell’unicità”. Spesso ciò che ascoltiamo viene montato al computer. I silenzi e le incertezze sono eliminati “ma anche il fisiologico prendere fiato, specie se il soggetto ha una certa età, o una certa gravità di tono” a detta di Zanchini. Senza contare i tagli che subiscono le voci prese dagli archivi radiofonici. Se un tempo pause e silenzi di personaggi importanti, sebbene lunghi, erano rispettati, oggi accade sempre più raramente. Non è concepibile mandare in onda pause che superino i dieci secondi; d’altra parte, tagliandole, si taglia il “parlato naturale” e quindi il senso di quel “parlato”.

5. Il silenzio imposto.
Si verifica nelle radio di informazione. Si pensi al giornale radio dove voci registrate o testi scritti sono continuamente rivisitati, tagliati, limati. Un lavoro immane. In taluni casi, si blocca l’ascoltatore in diretta pur di evitare che passino notizie indesiderate. ‹‹Quasi sempre si tratta di corrette operazioni di editing, frutto di ragioni professionali. Non di rado, tuttavia, dietro le forbici c’è la politica›› conclude Zanchini.

Un intervento interessante sul silenzio radiofonico che il giornalista di Radio 3 chiude con una riflessione personale. ‹‹Non sono sicuro che i ritmi di una trasmissione permettano di creare uno “spazio di silenzio” che sia sorgente di senso. La mia impressione è che si tratti quasi sempre di silenzio passivo, tempo di attesa››.

Chiaro che Zanchini si riferisca ai tempi attuali che, dominati da una comunicazione invasiva, non consentirebbero di cogliere il senso del silenzio. Ora, cari lettori di Radiospeaker.it., a voi la parola. Raccontateci le vostre impressioni o esperienze in merito all’argomento.

Articolo a cura di Sofia Napoletano
Fonte: rivista.ssef.it

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