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Il Passaggio dall’Analogico al Digitale in campo Radiofonico

Due potrebbero essere le immagini che nel campo radiofonico esprimono bene il passaggio dall’analogico al digitale.

La prima, è quella che mostra un operatore che con abilità acquisita nel tempo, muove avanti e indietro il nastro di un registratore a bobine fin quando sente perfettamente dove segnare con un speciale matita il punto nel quale dovrà tagliarlo. Una volta identificato il punto esercita un taglio con una lametta da rasoio. Congiunge le due parti con un adesivo particolare e riascolta l’operazione fatta.

La seconda, mostra sempre un operatore però questa volta seduto davanti ad uno schermo che analizza la rappresentazione digitale di un suono, e, con il clic del mouse, inserisce un marker che indica il punto di inizio e poi spostandosi con il mouse individua il punto di uscita. Riascolta velocemente la parte selezionata e poi con un clic la elimina o la copia o la sposta.

Solamente chi ha sperimentato tutte e due le tecniche può comprendere quanta abilità, pazienza e ascolto richiedesse la prima e quanto invece la seconda, abbia facilitato la vita ai tecnici audio. Ad una progressiva facilitazione della manipolazione digitale dei linguaggi audio e video, non ha corrisposto automaticamente una crescita della qualità dei contenuti, né tantomeno della creatività.

Nell’arco di circa dieci anni, dal 1995 al 2005 abbiamo visto la scomparsa dei dischi in vinile, dei nastri a bobina, delle cassette audio e di quelle video, e siamo passati nel giro di breve tempo all’uso dei compact disc, dei minidisk, dei DVD, per arrivare infine a registratori digitali con compactflash card o microdrive, e a videocamere sempre più compatte e potenti. Parallelamente lo sviluppo dei formati di compressione audio come l’mp3, che hanno aperto la rete al mondo della trasferibilità dell’audio, e lo sviluppo dei programmi di editing digitale, hanno trasformato radicalmente il rapporto tra produzione e riproduzione del suono.

Queste poche righe non fanno giustizia della complessità di questa svolta epocale nel campo delle telecomunicazioni. L’evento della digitalizzazione ha comportato da una parte il cambio di apparati per l’elaborazione del suono e la produzione di programmi radiofonici, ma ha soprattutto imposto una riflessione su come stava cambiando la comunicazione, e come gli stessi media elettronici, radio e televisione, dovevano ripensarsi con la crescente diffusione di Internet.

Dal punto di vista didattico questo processo ha significato una revisione dei programmi, calibrando l’investimento di tempo da dedicare all’acquisizione della conoscenza e della manualità necessarie per l’utilizzo degli strumenti digitali, il tempo per esercitarsi con la produzione di programmi, e il tempo per comprendere come il fare radio doveva ripensarsi nell’era della digitalizzazione e della globalizzazione.

Come direbbe Henry Jenkins, la nuova cultura digitale è una cultura convergente che “richiede ai media di ripensare i vecchi concetti di consumo che hanno plasmato i processi decisionali di programmazione e di marketing”. La rigidità delle specializzazioni di settore che i media elettronici richiedevano marcava nitidamente dei confini tra chi faceva una cosa e chi l’altra.

Con la cultura digitale convergente, questi confini sbiadiscono e impongono maggiore flessibilità e una più ampia gamma di abilità comunica- tive che vanno dalla capacità di trattare una notizia fino alla capacità di pubblicarla autonomamente su di un sito.

Articolo a cura di Federico Ventagliò

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