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Radio di Flusso: è un tipo di Radio senza Personalità?

Mi hanno colpito molto le vicende di alcuni network lette negli ultimi giorni su Radiospeaker, che certamente avrete visto anche voi. I dati d’ascolto che più avanti verranno pubblicati saranno fondamentali per capire se queste strategie e questi cambiamenti hanno pagato oppure il volere del pubblico doveva essere preso in considerazione. Non sono questi però i pensieri che mi accompagnano da un po’ di tempo, in realtà riflettevo sulla modalità di scelta editoriale e sull’impronta presa da questi network.

Parliamo di pure radio di flusso, con interventi sporadici e molto brevi, una tendenza che si è già affermata in alcune emittenti e che funziona molto all’estero, ma che da noi esiste già. Le radio di flusso italiane infatti funzionano (RDS su tutte) ma funzionano proprio perché non ce ne sono molte che fanno quel tipo di programmazione, quindi chi cerca poco parlato e molta musica con grandi successi sempre in playlist sa a chi rivolgersi e cosa ascoltare. Tante emittenti si distinguevano, nonostante i risultati non fossero ottimi, proprio perché facevano qualcosa che nessuno in Italia aveva, oltre che avere una squadra di speaker di tutto rispetto.

Forse continuare su quella strada avrebbe portato più avanti i risultati sperati.

Leggendo i commenti degli ascoltatori e le voci che circolavano tra i fan delle suddette radio quello che apprezzavano era proprio la scelta musicale, diversa da molte altre, e i programmi ricchi di personalità forti e idee che si distinguevano dal resto.

Ora tutto questo è stato azzerato in favore dell’omologazione, parola che terrorizza molti ma che a questo punto sembra essere attraente per gli editori. L’omologazione paga, fa quadrare i conti, il rischio no, questo dovrebbero pensare gli investitori seguendo le logiche delle scelte effettuate. Non credo, almeno personalmente, che sia sempre così, e lo stesso mi sembra pensino i tantissimi ascoltatori che si sono indignati per i tanti stravolgimenti repentini e che hanno ammesso che non seguiranno più la loro radio preferita (quindi questi sono ascolti persi e numeri che calano). Ripeto, vedremo i dati d’ascolto per capire chi ha ragione ma io non mi trovo d’accordo sulla visione su cui le radio oggi sembrano indirizzarsi che, come ho segnalato nel titolo, mi piace chiamare “spersonality radio”.

L’omologazione, infatti, rischia di appiattire i contenuti e non creare quell’identità, quel tratto distintivo, che deve caratterizzare tutte le emittenti per far si che vengano ascoltate, vengano scelte e ritenute migliori rispetto alle altre. Che sono alla fine le caratteristiche che ritroviamo in una personality radio, o radio di personalità (vedi Radio Deejay o Radio 105). Radio Italia ad esempio, ha scelto da subito di indirizzarsi solo sulla musica italiana, un rischio altissimo visto che è risaputo che i brani stranieri hanno un appeal migliore e un “tiro”, un sound, molto più accattivante e coinvolgente. Per dirla da uomini della strada, i dischi stranieri spesso suonano meglio di quelli italiani, credo che tanti di voi siano d’accordo.

Scelta rischiosissima, come dicevo prima, ma che però è andata a riempire una nicchia e una fetta di mercato che erano scoperte, che certo dall’altra parte ha fatto perdere molti ascoltatori e allontanato tantissimi dall’emittente (molte persone odiano completamente, non ne capisco il motivo, la musica italiana, non la possono proprio sentire, quindi per forza di cose non si sono mai fermate nemmeno per un minuto ad ascoltare Radio Italia).

Però, continuando su quella strada ed essendo professionali nelle scelte musicali e nel proprio lavoro, piano piano Radio Italia si è fatta largo e oggi ricopre una delle posizioni di vertice del panorama radiofonico italiano, oltre che essere una delle poche emittenti in continua crescita da qualche anno a questa parte. Questo è solo un esempio di una radio di flusso, potrei continuare parlandovi della già citata RDS o di Virgin, entrambe radio di flusso che però hanno fatto una scelta, musicale o di stile, che le caratterizza, le distingue e crea la loro identità, i risultati sono visibili a tutti.

Chi decide di cambiare veste alla propria emittente prima aveva questa identità e questa idea che la distingueva da molte altre radio, ora è un network che fa cose che in Italia già esistono, e sono fatte bene, per cui diventa una copia di qualcos’altro o comunque un progetto che già si trova.

Omologazione significa successo, dicevo prima, almeno secondo gli editori, perché se una cosa esiste e già funziona allora se la facciamo anche noi deve funzionare per forza pure con noi. Io non credo, in questo modo viene sempre più svilita la figura dello speaker che, per come sono cresciuto io e per la radio che ascoltavo io, significa stile, personalità, riconoscibilità, improvvisazione, capacità di comunicare e parlare alla gente, saper tenere un discorso anche per parecchi minuti senza scadere nell’ovvio, caratteristiche che penso ognuno di voi conosca e che corrispondono alla personality radio.

Con il tipo di radio a cui si punta adesso, non tutti la possono fare, ma quasi: servono infatti belle voci, profonde, che fanno da collante tra una canzone e l’altra ma che magari quando escono qualche secondo dalla classica durata del talk o dal classico disannuncio del pezzo vanno in difficoltà. Allora è più un lavoro da doppiatori o speaker pubblicitari, non da conduttori radiofonici. Distinguiamo i ruoli. Lo speaker in radio deve fare quello e il doppiatore deve fare altro, so di parecchie emittenti che hanno licenziato speaker dotati e talentuosi per far posto a voci possenti ma impostate e mi sto rendendo sempre più conto che oggi è questo che le radio cercano.

Io la figura dello speaker me la ricordo molto diversa da quella che si vuole avere oggi. Non sono d’accordo e continuerò a dirlo, nonostante la mia opinione valga poco, voi?

A cura di Nicola Zaltieri

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