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Chi sta uccidendo le Radio Stars nel 2018?

Son passati quasi quarantanni dalla pubblicazione di “Video Killed The Radio Stars” dei The Buggles.

Gli anni ottanta erano alle porte e la canzone era riferita al cambiamento tecnologico e comunicativo riguardo la comparsa del video: l’abdicare della radio nei confronti della televisione.

Un passaggio che per i The Buggles sanciva la fine delle star radiofoniche, senza volto, a favore dell’immagine televisiva. Nel 2018 il concetto della celebre canzone è ancora vivo e fonte di discussione. Esiste la fazione dei radiofonici tradizionali, che concepiscono la radio solo come device audio, quella dei radiovisivi, che alla radio associano anche il video delle trasmissioni, e quella dei radiofonici 4.0, che alla radio tradizionale associano altri device d’ascolto e prodotti video non perforza legati alla diretta FM/DAB+/IP: la fruizione multipiattaforma.

Nel primo gruppo troviamo principalmente le realtà locali, nel secondo le emittenti del gruppo RTL 102.5 e Radio Deejay (solo con DJCI), nel terzo i canali delle varie radio nazionali com R101 TV, Radio Italia TV, Radio Deejay (tralasciando DJCI), la nuova RDS Social TV e recentemente anche la risorta Virgin TV.

Prendendo spunto dalla canzone dei The Buggles e da un’interessante articolo sul blog di Dick Taylor, radiofonico statunitense, è possibile spostare l’attenzione sui giorni nostri e cambiare il volto dell’assassino. Chi sta uccidendo le Radio Stars nel 2018?

Chi non permette lo sviluppo della personalità di uno speaker radiofonico? L’automazione radiofonica. Essa non va tanto intesa come il software in se’, che aiuta molto la programmazione e il playout dell’emittente, ma il livello di gestione e automatismi a cui gli spekaer sono sottoposti. Questi sono dettati dalla linea editoriale della stazione, dal format musicale e dai programmi proposti.

Arrivati a questo punto della riflessione possiamo spostare l’attenzione su due tipi di conduttore e analizzarli: lo speaker di una radio di flusso e lo speaker di una radio di programmi. In quale dei due casi il personaggio al microfono ha l’oportunità di esprimersi di più? Nel caso di un’emittente di programmi ovviamente è la risposta corretta. In quale caso risulta più marcato l’identità dell’emittente, a sfavore di quella dello speaker? Nel caso di un’emittente di flusso, dove gli interventi degli spekaer sono racchiusi in pochi minuti (a volte secondi). 

Il punto è: una Radio Star che caratteristiche deve avere? Basta una buona dizione? Un buon ritmo? Serve personalità?

Guardando lo scenario nazionale si ha l’impressione che in molte radio risulti tutto un po’ uguale a partire dagli argomenti (ricerche scientifiche, nuove app, “scriveteci cosa state facendo”, …), dal clock, dalla musica (schiava della Radio Date), … fino ad arrivare alle voci.

Con questo non si vuole dire che gli speaker non siano dei professionisti, anzi, ma piuttosto si sta riflettendo su quanto deve emergere la personalità di un conduttore per essere una Radio Star. Sostenitore di tale pensiero è anche il direttore di Radio Deejay, Linus, che in una recente intervista ha detto che trova le altre radio piatte. Provate ad immaginare uno spekaer, e quindi professionista della radio e della voce, che conduce su un’emittente di flusso venga chiamato da una radio di programmi… il lavoro è lo stesso… ma gli risulterebbe facile? Non credo.

Vedendo però il bicchiere mezzo pieno, visto gli ultimi dati d’ascolto che mettono ai vertici radio di flusso, potrebbe darsi che non si sente il bisogno di Radio Stars.

E Voi cosa ne pensate?

Articolo a cura di Stefano Tumiati

Stefano Tumiati

Stefano Tumiati

Regista Radiofonico, Tecnico Audio, Producer, Montatore Video Leggi i miei articoli

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