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La Voce dei Leader – Parte III

“La mancanza è la più forte presenza che si possa sentire”

Proprio così. Quando un leader, durante un suo discorso,  smette di parlare, tutti si fanno un sacco di domande. A questo proposito, oggi affronteremo due argomenti in uno: le pause ed i cosiddetti “rumorini”, o suoni infestanti.

Spesso le nostre insicurezze possono trasformarsi in risorse, i vuoti in strumenti di persuasione. E’ molto sgradevole sentire una persona parlare di un argomento importante, del quale magari è  considerata esperta, e sentire un’infinità di “rumorini”, mugugni, “esitazioni sonore”, del tipo “eeehh, oooohhh, hhmmmm” e amenità simili, che non fanno altro che comunicare una certa insicurezza del parlante. Anche se si tratta di una persona  preparata, non sarà abbastanza convincente e non riuscirà a trasmettere una immagine forte di sé. Il grande vocal coach Roger Love racconta un aneddoto simpatico: pare che la madre gli dicesse, per educarlo a non usare questi suoni, di pensarli come parolacce!

Come dicevo nei precedenti articoli “Le Caratteristiche della Voce dei Grandi Leader” e “La Voce dei Leader – Parte II, ripetendo l’insegnamento di un’altra vocal coach americana, Reneé Grant Williams, le pause non stanno lì per essere riempite a qualsiasi costo! Vanno vissute. Se ci pensiamo bene anche in musica ci sono: esistono delle figure, dette appunto pause, che sono usate per definire proprio un’assenza di suono. Del resto anche nella scrittura  della consueta lingua parlata esiste la punteggiatura ad assolvere questo compito: essa determina appunto le interruzioni.

Le pause non sono vuoto. Tutt’altro. Sono piuttosto spartiacque, sipari, argini o anche pesi. Già, pesi. Possono dare forza a ciò che diciamo, se poste ad esempio prima e/o dopo un concetto importante, un termine nuovo che vogliamo trasmettere ad un pubblico che è lì per apprendere da noi nuove informazioni. Cosicché lo spazio che tanto ansiosamente andiamo a riempire con i nostri strampalati suoni, privi di significato, per non accettare di lasciarli vuoti e in quel silenzio confrontarci con gli sguardi più o meno penetranti che ci attraversano, è da mantenere vuoto.

E’ un tempo lecito, che possiamo utilizzare per pensare a quanto abbiamo detto ed a quanto vogliamo dire. Quel tempo ci appartiene:  usiamolo a nostro vantaggio. Come usarlo a nostro vantaggio? Qualcuno potrebbe erroneamente pensare a porre delle pause sparse qua e là un po’ a caso. Chiariamo, si tratta di tutt’altro.

Il parlante dovrebbe porre attenzione al sopraggiungere di questi suoni, e nel momento in cui sente l’esigenza di produrli, dovrebbe tramutarli senza paura in silenzio, usando quel tempo per riprendere fiato e riorganizzarsi. Serenamente. Si può anche pensare di mettere una pausa ad un certo punto, appositamente, prima di comunicare un concetto chiave, come accennavamo precedentemente.

Le pause quindi non sono silenzio, non sono assenza di comunicazione. Sono invece interruzioni di suono da utilizzare a vantaggio della comunicazione.

Articolo a cura di Giuseppe Urzì

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