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Pubblicità Radiofonica: il Fatturato è in aumento

Sospiro di sollievo per i boss delle radio, l’aumento del fatturato registra un incremento del +7,0%.

I dati sono positivi, i risultati riguardano il mese di Agosto 2016 e riportano un 2015 soddisfacente. E’ tempo di alzare la testa e guardare al futuro con fiducia. Una volta al pari coi conti quello che è importante è saper investire nuovamente, per trarre ulteriori benefici da una situazione già di per sé positiva, Peppino Ortoleva, saggista di rilievo, e docente di cinema, fotografia e televisione dell’Università di Torino, intervistato sull’argomento ci spiega:

“E’sempre esistito un netto divario tra la presenza della radio e la percezione della radio. Per limitarci al caso italiano, è stata trattata da molti come medium marginale già con l’avvento della televisione, poi “riscoperta” negli anni Sessanta e Settanta con lo sviluppo della cultura giovanile prevalentemente musicale e l’ondata delle “radio libere”, ma successivamente accantonata, anche nelle scelte dei pubblicitari, in favore della televisione pigliatutto, senza neppure far caso alle statistiche che, costantemente, la davano come secondo medium più seguito, alle spalle appunto della sola TV. Ed è quasi scomparsa dal dibattito pubblico nel corso degli anni Duemila, quando la parola d’ordine “tutto è rete” ha fatto dimenticare a molti che anche la radio è rete: non solo e non tanto con la moltiplicazione delle web radio quanto con la possibilità di sintonizzarsi a tutte le radio del mondo e utilizzarle come presenza di sottofondo dovunque.

In che cosa può stare ora la specificità della radio come parte della rete? Prima di tutto, nel farsi conoscere, e in questo i social media attualmente sono essenziali, ma ci sono possibilità di auto-promozione anche nuove, ad esempio la creazione di comunità locali e globali legate ad alcuni temi e “culti”; in secondo luogo, per le radio più musicali in una selezione sempre più mirata e anche raffinata, capace di raccogliere letteralmente pubblico in tutto il mondo e di ottenerne l’appoggio come dirò dopo anche economico; in terzo luogo, nella riscoperta della radio “di parola” che non è solo né necessariamente “di notizia, o “di tifo”: il medium ha delle possibilità che sono state perse di vista (o di udito) per anni ma stanno riemergendo, anche di tipo narrativo e ludico”.

I risultati positivi sono destinati ad aumentare, secondo Lei, professore?

“Proprio alla luce di quello che ho appena detto, penso che dovremo sempre meno ragionare in termini generali e aggregati (“la” radio) e sempre di più in termini mirati (i vari “tipi” e “generi” di radio); in Italia troppe emittenti hanno vissuto sul controllo delle frequenze e su format nati decenni fa come su una rendita di posizione, la crescita del settore è ampiamente possibile ma non sarà uniforme, soprattutto se i pubblicitari sapranno interessarsi di più al mezzo e imparare a distinguere. E non sono da escludere anche in Italia le forme che oggi si direbbero di crowdfunding ma che negli USA esistono da lunghissimo tempo, come le emittenti che vivono da sempre delle donazioni degli ascoltatori che esprimono così il loro apprezzamento per una programmazione accurata e diversa dalle altre: in campi “di nicchia” come il jazzo il repertorio classico di alcune epoche, ma anche in campi apparentemente più massificati come il mondo pop/rock.

La pubblicità in radio spesso è concepita come il momento più fastidioso di tutta la programmazione, è possibile trasformare il momento pubblicitario in uno spazio comunicativo interessante?

Una radio rivolta a un pubblico che in quella radio si riconosce, come comunità di gusti e di passioni, non necessariamente tratta la pubblicità come “inserto”: che in un medium audio può essere anche più irritante che in televisione, perché in generale si presenta come interruzione secca di un flusso unitario, e difficilmente può avere l’attrazione sensoriale di una parte almeno della pubblicità TV. La pubblicità può diventare parte della programmazione, coinvolgendo per esempio lo sponsor in un sistema di funding di cui fanno parte anche gli ascoltatori, o dar vita a forme di ludicità collettiva, che del resto in Italia hanno una tradizione antica e dimenticata. Poi, certo, si può trattare anche l’inserto classico in modo più fantasioso di quanto spesso si faccia: ma per arrivare a questo occorre che emittenti e pubblicitari siano disposti a investire, uscendo dall’atteggiamento troppo spesso “poveristico” che ha dominato il mezzo a lungo, e spesso in modo ingiustificato.

Articolo a cura di Annalisa Colavito

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