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Radio Rabia Balkhi: la Radio che ama e protegge le Donne Afgane

Siamo al terzo appuntamento che ci porta a conoscere altre realtà radiofoniche. In questo caso parliamo di storie che non si vorrebbero sentire, problemi che si conoscono, ma che si fatica a risolvere, diversità che ancora nel 2012 sottomettono una categoria di persone rispetto ad un’altra. Sono quelle storie lontane da noi che sembrano non toccarci nel vivo, ma che non ci possono lasciare indifferenti. Però come in ogni favola che si rispetti c’è il lieto fine, o almeno si fa il possibile per raggiungerlo.

È il caso di Radio Rabia Balkhi e della sua direttrice Mobina Khairandish, che si batte per l’emancipazione delle donne in Afganistan. Mobina ha 30 anni, è sposata ed ha un figlio di due, è giornalista e laureata all’Università di Balkhi ma soprattutto è l’ideatrice, conduttrice e produttrice del programma “a mani aperte”, che va in onda il lunedì, il giovedì e il sabato alle 9 del mattino. Il programma lo realizza in 3 lingue, il dari, il pashto e l’ozbek, così da raggiungere tutte le comunità presenti sul territorio.

L’emittente indipendente di cui è direttrice trasmette da Mazar – i Sharif, a nord dell’Afghanistan e si indirizza principalmente alle donne. Il programma stesso che conduce è dedicato a loro, tratta i temi religiosi e legali della condizione femminile nel territorio e vuole essere informativo per tutte le persone all’ascolto. Vuole incoraggiare in particolar modo, le donne a rivendicare i loro diritti, mettendole a conoscenza della loro situazione e delle loro possibilità, spiegando a chi si possono rivolgere per chiedere aiuto e come farlo.

Il titolo che ha scelto per la sua trasmissione è evocativo e dice che le donne afghane oggi possono avere “le mani aperte”, potendo chiedere maggiori diritti con la speranza di ottenerli. La situazione femminile in Afghanistan attualmente è un po’ migliorata ma vi lascio un paio di dati per riflettere su cosa significhi vivere in un contesto simile: l’87% delle donne è vittima di violenze domestiche e la maggior paura di quelle sotto i 30 anni è subire una violenza sessuale. Il 25% dei posti di lavoro governativi è ricoperto da donne ma le possibilità professionali sono poche e la scelta è limitata.

Mobina nella sua radio ha preso però una direzione ben precisa: lo staff è di 30 persone, ci sono 12 uomini e 18 tra donne e ragazze. La radio nasce nel 2003, grazie ad una Ong (Organizzazione Non Governativa) canadese e prende il nome da una poetessa persiana del nono secolo uccisa brutalmente dal fratello.

Rimane una realtà indipendente che si finanzia grazie alle inserzioni pubblicitarie e al sostegno delle organizzazioni umanitarie e ha come obiettivo quello di offrire supporto legale alle donne, cercando anche di mettere in comunicazione le ascoltatrici con le associazioni e le fondazioni che operano sul territorio e che possono fornire questa assistenza.

Per fortuna, visto il tema delicato che tratta, Mobina e la radio stessa sono protette dalle istituzioni e non hanno mai avuto problemi con quelle persone che ancora oggi ritengono le donne poco più che un oggetto. Tutto questo permette di lavorare con una relativa tranquillità e trattare anche temi così importanti, magari provando a discostarsi da quella che è la tradizione del paese e cercando più indipendenza.

Anche solo nel modo di vestire, perché Mobina afferma con una certa decisione di non avere mai indossato un burqa in vita sua. La direttrice conclude l’intervista con una frase che voglio riportarvi pari pari: “il mio sogno più grande è di non dover più presentare programmi che si occupino di violenza e dei problemi delle donne. Spero che i media e io per prima, incominceremo a parlare dei talenti delle afgane, delle loro conquiste e dei risultati raggiunti”.

Lo spero anch’io per lei, con tutto il cuore e ammiro la forza di questa donna.

Articolo a cura di Nicola Zaltieri
Fonte: lastampa.it

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