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La Radio in Italia: Radiospeaker.it intervista Tiziano Bonini

La Radio in Italia: Radiospeaker.it intervista Tiziano Bonini

Poco riverbero mediatico per il World Radio Day, lo scorso 13 febbraio. La giornata indetta dall’Unesco, celebrata un po’ in sordina dai mass media, trascina naturali riflessioni con sé. A quanti piace ancora la radio? Cosa ascoltano, alla radio? E in quale momento della giornata l’accendono?Siamo protagonisti di una media morfosi talmente rapida di cui si fa fatica a seguirne gli step.

Di certo c’è che il fascino misterioso della radio rimane immutato. La radio in ogni minuzia e segreto, in ogni evoluzione più o meno latente, è raccontata e descritta ne “La radio in Italia”, edito Carocci, 2013. Il testo è obbligatorio per i fruitori fedeli del mezzo, amatori e addetti ai lavori. L’autore, Tiziano Bonini, giovane ricercatore in Linguaggi dell’arte e dello spettacolo all’Università IULM, dove insegna Comunicazione radiofonica, non si lascia sfuggire dettagli.

Dalla storia, ai pubblici, alle divergenze con la radio straniera è in grado di sviscerare il medium in ogni minuscolo particolare. “La radio in Italia” è un lavoro che contiene la prefazione di Enrico Menduni, ma vede la partecipazione di molti altri studiosi nostrani e non: per questo può definirsi completo ed esauriente.

Prima di augurarvi buona lettura, vi segnalo l’intervista rilasciata per gli amici di Radiospeaker:

Negli anni la radio ha sempre vinto le sue battaglie verso gli altri mezzi di comunicazione di massa, facendo giocoforza sulle sue caratteristiche. Come saprà superare il momento storico che viviamo?
Come sempre, ibridandosi con le tecnologie che via via sono comparse lungo il suo cammino. E poi la radio continuerà a sopravvivere anche perché è uno strumento di connessione tra contenuti e persone, non solo un juke box musicale.

Alla radio generalista si contrappone una flebile competitività da parte delle web radio in Italia, perchè – nel nostro paese – siamo ancora fermi all’amatorialità per quello che riguarda il sistema delle radio in rete?
Le web radio e la radio in fm sono due mezzi diversi, non paragonabili. Finché internet sarà così poco diffusa nel nostro paese e così difficile e costoso ascoltare in streaming una radio in mobilità, le web radio sono condannate ad un ascolto di nicchia, senza l’emergere di un vero mercato e quindi anche all’amtorialità. Dove non c’è mercato non ci sono investimenti, non c’è concorrenza. Le web radio rimangono ottimi strumenti di comunità (studentesche, musicali, di prossimità ecc…) e di formazione radiofonica.

Negli anni ’70 la radio era una palestra per talenti, che di lì a breve sarebbero passati alla tv o alla musica, è ancora così?
Sempre meno. Oggi le palestre sono Soundcloud, Spreaker, le web radio universitarie, farsi i propri podcast. Solo che così si perde la possibilità di imparare dagli altri, di formarsi in un ambiente ricco di persone.

Oggi è il World Radio Day, se lei avesse sacchi di soldi da distribuire nelle radio, per festeggiare la giornata dedicata alla radio – ovvero il 13 febbraio – cosa consiglierebbe di fare?
Consiglierei di investirli in nuovi canali tematici per il digitale, in accordi con i social media più diffusi, nello sviluppo di un team di informatici per ottimizzare le forme di consumo dei contenuti radiofonici in un contesto multimediale, nella ricerca qualitativa sui pubblici digitali e nella sperimentazione di nuovi formati e nuove voci.

Il sistema radiofonico italiano presenta delle lacune, datate, rispetto al sistema radiofonico inglese e americano, prima o poi ne verremo fuori o andrà sempre peggio?
Non ho la sfera di cristallo. So solo che il pubblico radiofonico italiano è sempre più vecchio, come i suoi conduttori.

Attraverso “La radio in Italia” si vuole creare la cultura della radio, cosa significa?
Quando inizio il mio corso di radio in università, ogni anno, scopro che gli studenti ascoltano pochissimo la radio e soltanto come colonna sonora, tappeto sonoro ai loro spostamenti quotidiani. Alla fine del corso scoprono che esistono tanti modi diversi di fare radio e si appassionano a programmi che mai avrebbero pensato di ascoltare. Questo vuol dire creare una cultura della radio: prenderla sul serio, conoscerla, capirne la grammatica e le possibilità al di là dell’offerta attuale italiana, omogenea e affollata al centro.

I nostri addetti ai lavori hanno la cultura della radio, secondo lei?
Alcuni sì, molta. Altri no, per niente. Ma anche tra quelli che hanno una cultura radiofonica, poi spesso, mancano i contenuti. Ci sono voci bellissime che affollano l’etere italiana ma che sono irriconoscibili l’una dall’altra, tanto parlano delle stesse cose nello stesso modo.

Il sistema delle radio di Stato e i network privati: differenze e criticità!
Questo è un capitolo troppo lungo. L’ho affrontato nel libro a lungo. Il primo ha molti vincoli e molti costi. Il secondo è orientato al profitto. La criticità in entrambi i sistemi sta nel crogiolarsi troppo a lungo nella propria rendita di posizione.

Crede sia utile che i nostri adetti ai lavori facciano esperienza all’estero?
Il lavoro di conduttore radiofonico è incentrato sul linguaggio, ovvero l’italiano…Sì, può essere utile capire come lavorano gli altri e riportare qui alcuni modelli appresi fuori, per innovare, migliorare.

Articolo a cura di Annalisa Colavito

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