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Radio Freccia: il film sulla radio di Luciano Ligabue

Ad elogiare le emittenti radiofoniche libere italiane nate negli anni ’70, ha provveduto anche il cinema nostrano con tre film: Radiofreccia (1998) di Luciano Ligabue che narra di un’emittente immaginaria, “I Cento passi” di Marco Tullio Giordana (2000) incentrato sull’esperienza siciliana di Radio Aut, fondata da Peppino Impastato, e “Lavorare con lentezza” (2004) di Guido Chiesa che racconta la storia di Radio Alice.

Detto questo, oggi ci occupiamo di Radiofreccia che ha segnato il debutto di Ligabue alla regia. Sceneggiato a quattro mani con Antonio Leotti, il film è tratto dalla raccolta di racconti “Fuori e dentro il borgo” (1997) del rocker di Correggio. Ma caliamoci nella pellicola. Radiofreccia, una piccola emittente emiliana di fantasia, chiude i battenti nel 1993 un minuto prima di compiere diciotto anni.

Nel suo ultimo giorno di trasmissione, lo speaker Bruno Iori (Luciano Federico) intrattiene i suoi ascoltatori con la storia dell’emittente, che un tempo si chiamava Radio Raptus, e dei suoi fondatori nonché amici di Bruno: Ivan Benassi, detto Freccia (Stefano Accorsi), Iena (Alessio Modica), Tito (Enrico Salimbeni) e Boris (Roberto Zibetti). Cinque ragazzi di un borgo emiliano, desiderosi di esprimere le proprie idee e di trasmettere musica rock attraverso un’emittente che non copre l’intera provincia.

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Un’emittente creata nel 1975, nella soffitta di Bruno, con un trasmettitore da 5 watt, due giradischi, un mixer, un registratore, un microfono, un paio di cuffie e qualche disco. Un punto di riferimento per tutti un po’ come il Bar Laika, il bar del paese, gestito da Adolfo (Francesco Guccini), uno che non le manda certo a dire ma, allo stesso tempo, un amico-confessore. Solo Bruno studia, gli altri sono tutti operai e trascorrono il tempo libero per le vie del borgo, in discoteca e alla ricerca del segnale di Radio Raptus accompagnati dalla musica rock di Lou Reed, David Bowie, Iggy Pop, dei Lynyrd Skynyrd cui si unisce quella di Ligabue con brani quali “Metti in circolo il tuo amore”, “Ho perso le parole”, “Siamo in onda”.

Su tutti spicca Ivan, soprannominato Freccia per via di una voglia sulla tempia con questa forma. Onesto, audace e un po’spaccone, Freccia diventa il leader del gruppo. In realtà, la spacconeria nasconde un’inconfessata fragilità causata dalla prematura morte del padre e dai continui scontri con la madre (Serena Grandi) che convive con un uomo odioso. Una situazione che costringe il ragazzo a lasciare la sua casa e a trasferirsi nella soffitta-stazione radio di Bruno.

Da qui cominciano i guai. La delusione conduce Freccia a frequentare cattive compagnie; si innamora di una ragazza tossicodipendente e decide di bucarsi. Si convince, come spesso accade, di poter smettere in qualsiasi momento ma ripiomba nell’oblio della droga a seguito di una delusione d’amore. Ormai è la fine. Il ragazzo muore in un fosso per overdose. Piuttosto toccante la scena che vede la banda del paese suonare al suo funerale “Can’t Help Falling In Love”, il brano con cui Elvis Presley chiudeva i suoi concerti, e quella in cui i suoi amici decidono di ricordarlo ribattezzando la piccola stazione radiofonica, Radiofreccia.

Un’emittente che, come anticipato, chiude i battenti prima di compiere diciotto anni; anni negati a Freccia. Epilogo d’impatto con Bruno che saluta i suoi ascoltatori mandando in onda una vecchia audiocassetta in cui il giovane Freccia si mette a nudo.Un monologo on air da riascoltare.

Intanto, potete leggerne alcuni stralci: “Buonanotte. Qui è Radio Raptus e io sono Benassi Ivan. Forse lì c’è qualcuno che non dorme. Beh, comunque che ci siete oppure no io ho una cosa da dire […] credo che ognuno di noi si meriterebbe di avere una madre e un padre che siano decenti con lui almeno finché non si sta in piedi…credo che non sia tutto qua, però, prima di credere in qualcos’altro bisogna fare i conti con quello che c’è qua, e allora mi sa che crederò prima o poi in qualche Dio; credo che semmai avrò una famiglia sarà dura tirare avanti con 300.000£ al mese, però credo anche che se non leccherò culi come fa il mio caporeparto difficilmente cambieranno le cose; credo che ho un buco grosso dentro ma anche che il Rock ‘n’ roll, qualche amichetta, il calcio, qualche soddisfazione sul lavoro e le stronzate con gli amici, beh, ogni tanto questo buco me lo riempiono; credo che la voglia di scappare da un paese con 20.000 abitanti vuol dire che hai voglia di scappare da te stesso […]Ecco, vedete un po’ di ricaricare le vostre scorte con questo”.

Che dire.. consiglio vivamente la visione di Radiofreccia a tutti quelli che volessero staccare la spina per immergersi negli anni’70 in compagnia di Freccia e dei suoi amici che attraverso la radio, la radio libera di quegli anni messa su con pochi soldi, diedero un senso alla propria esistenza, parlando liberamente, raccontandosi agli ascoltatori e trasmettendo musica rock.

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Un film che potrebbe interessare anche per i problemi affrontati, ancora attuali, con il giusto tatto, senza presunzione alcuna. Basti pensare al rapporto genitori-figli con i primi, spesso, percepiti come figure autoritarie e intrusive e alla droga di cui quarant’anni fa, è vero, si sapeva ben poco e se qualcuno decideva di bucarsi, credeva di essere un duro; ma oggi, anche se si è più informati, non so fino a che punto le cose siano cambiate.

E voi lettori di Radiospeaker.it, lo avete mai visto questo film? Cosa ne pensate?

Genere: Drammatico
Regia: Luciano Ligabue
Soggetto: Tratto dal libro”Fuori e dentro il borgo” di L.Ligabue
Sceneggiatura: Luciano Ligabue, Antonio Leotti
Musica: Luciano Ligabue
Cast: Stefano accorsi, Luciano Federico, Paolo Cremonini, Fulvio Fiammetti, Ottorino Ferrari, Serena Grandi, Francesco Guccini, Manuel Maggioli, Alessio Modica, Cristina Moglia
Origine: Italia, 1998
Durata: 112 min.

Articolo a cura di Sofia Napoletano

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