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Radio24, Marta Cagnola: per entrare non bisogna mai arrendersi

Lei è una speaker radiofonica, anzi no. Lei è prima di tutto una giornalista che nel 2000 è capitata in radio, per l’esattezza Radio24, e poi è scoccato l’amore, quello che dura eccome.

Ma Marta Cagnola è questo e molto di più: “Ho iniziato alla tv dei ragazzi e ne vado molto fiera. Mi occupo di musica, cinema, tv, cultura digitale in Radiotube, il sabato pomeriggio, e nei giornali radio”, ci racconta. Come se non bastasse, è anche soprano e insegna al Master Fareradio all’Università Cattolica dove si è laureata in Lingue. “Faccio parte della Consulta permanente femminile del Pontificio consiglio della cultura presso la Santa Sede, ed è la cosa di cui sono maggiormente orgogliosa”, aggiunge Marta. Al telefono, come previsto, sembra di conoscerla da una vita: simpatica, familiare, spontanea, ti pare di vedere il suo sorriso. Noi di Radiospeaker non abbiamo resistito e, come sempre, siamo andati oltre.

Marta Cagnola. Il tuo nome è diventato quasi un sinonimo di Radio24 con cui collabori dal 2000, ti ascoltiamo su RadioTube L’intervista, Social Village e Social Network. Quel “24”, nel tuo caso, sta quasi per un “no stop” che piace, e pure assai, a chi ti ascolta. Dì la verità, senza cuffie quasi non ti riconosci…
Accidenti, forse sto per darvi una delusione… in realtà non è così! Io mi sento innanzitutto una giornalista. Sono diventata professionista nel 2000, dopo la laurea e la scuola di giornalismo dell’Ordine della Lombardia, il prestigiosissimo Ifg. Ho lavorato in tv e nella carta stampata, prima di presentarmi alle selezioni alla nascita di Radio24. Per me la radio è un mezzo come gli altri per fare quello che amo: raccontare storie e portare notizie. Per questo non rinuncio a scrivere, a fare video (ho diretto persino un documentario) e a esprimermi in rete. Ho la fortuna di lavorare in una testata prestigiosa e di grande credibilità: questo conta per me più del mezzo su cui viaggia!

Chi ama la radio, e non solo, quando sente il tuo nome si mette comodo e al sicuro. Ma ci saranno stati, nel passato, dei provini che sono andati male… ce li racconti?
Radio24 è stata la mia prima vera esperienza radiofonica, a parte uno stage (molto divertente, confesso) a RTL 102.5. Ma a Radio24 non è andata subito in porto: all’ultimo passaggio delle selezioni sono stata scartata, proprio perché avevo solo esperienze televisive. Avevo fatto una prova scritta in tre lingue oltre all’italiano e un buon orale, ma non era bastato… Mi hanno “ripescato” cinque mesi dopo, perché un collega e amico sarebbe partito per il servizio civile. E non si sono più liberati di me…

In questi giorni stai seguendo la diretta dal Festival di Sanremo. Quanto conta ancora, secondo te, un palcoscenico storico come questo per le nuove proposte e la trasmissione in radio delle canzoni in gara per favorirne il loro successo, a sipario chiuso?
Qualche anno fa, con le esibizioni a notte fonda, il Sanremo giovani aveva perso appeal. Ora, con la formula di Sanremo Start, va molto meglio. Per il resto, ci sono casi eclatanti come quello di Francesco Gabbani, ma credo che la concorrenza dei talent si senta ancora in maniera pesante. Dovrebbe essere un palcoscenico più ambito di XFactor e di Amici! C’è ancora da lavorare.

Adesso chiudi gli occhi e pensa a un’intervista o una diretta che non è andata come avresti voluto. Quanto conta l’improvvisazione per una giornalista radiofonica?
La radio è una risorsa straordinaria perché permette di seguire ogni notizia in ogni momento, con mezzi leggerissimi. L’improvvisazione è indispensabile per la cronaca, per gli imprevisti, per le breaking news. Nell’ordinaria amministrazione della conduzione, io non scrivo copioni ma mi affido allo studio: non parlo di un disco senza averlo ascoltato, di un film senza averlo visto, di un libro senza averlo letto. Diciamo che è un po’ come il jazz: sembra improvvisazione, ma si fa affidamento su una solida preparazione.
Per il resto, rimango delusa da un’intervista quando non riesco a entrare in completa sintonia con chi ho davanti. E da una diretta quando “non mi suona bene”: non so dirvi perché, ma esco dallo studio con la netta sensazione che qualcosa non abbia funzionato. Se poi commetto qualche errore, riesco a non dormirci la notte. Sono molto contenta di me quando una trasmissione mi è piaciuta, arrabbiatissima quando qualcosa è andato storto. E me ne prendo tutte le colpe! Sono proprio una secchiona.
Infine, lo confesso: soffro per i messaggi cattivi degli hater. Dovrei fregarmene, ma ci rimango malissimo.

La radio italiana pare goda di una discreta salute, anche se negli ultimi tempi il suo aspetto ha subìto qualche intervento di “chirurgia plastica” a favore del mondo social. A freddo, ci dici cosa cambieresti di quello che è oggi la radio e se c’è qualcosa di nuovo che, invece, merita un plauso?
Direi che gode di ottima salute, dai! Io penso che proprio grazie alle sue possibilità di interazione con la rete, la radio avrà vita lunga, anche se in forme diverse e aggiornate, dai podcast in poi. Quindi ben vengano tutte le evoluzioni future.
Mi piacciono le radio di personalità, quelle nella cui identità gli ascoltatori si riconoscono, quelle in cui si sentono di appartenere a una comunità. Cosa non mi piace? Il ricorso ai volti televisivi per fare notizia. I conduttori che hanno bisogno di un team di autori per realizzare una trasmissione. La radio fatta di notiziole prese sul web per riempire il tempo tra una canzone e l’altra. Ne sono sicura: la qualità fa la differenza.

Intervista a cura di Valentina Carmen Chisari

Valentina Carmen Chisari

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