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Storia della Radio: l’Arte dell’Ascolto secondo Rudolf Arnheim

Rudolf Arnheim (1904 – 2007) è stato uno dei più grandi teorici della radio, soprattutto della fase pionieristica. Il suo contributo è infatti molto importante per chiunque voglia studiare o conoscere le caratteristiche del medium radiofonico, anche in relazione ad altri mezzi di comunicazione, quali cinema e televisione.

Arnheim nasce a Berlino nel 1904 e, dopo essersi laureato in psicologia sperimentale, emigra in Italia in seguito all’ascesa del nazismo lavorando presso il Centro sperimentale di cinematografia. Nel 1940, dopo l’introduzione delle leggi razziali, si trasferisce negli Stati Uniti dove insegnerà in prestigiose università. Allievo dei fondatori della Gestalt – Psychologie (psicologia della forma) , interessato fortemente ai problemi estetici della filosofia, è conosciuto per essere il rappresentante massimo della “Psicologia dell’Arte”. Ma non si può affatto parlare di Arnheim ritenendolo esclusivamente un filosofo: il suo interesse e le sue conoscenze vanno oltre, fino a toccare problematiche care alla sua società, come lo sviluppo delle comunicazioni di massa.

È per queste ragioni che le numerose opere di Arnheim non devono essere lette come semplici documentazioni di un’epoca scritte da un filosofo con basi scientifiche: al contrario, egli riesce perfettamente a cogliere (a volte anche ad anticipare) le diverse forme artistiche della cultura, tra cui la radio.

La radio, l’arte dell’ascolto

Uno dei suoi lavori più grandi e interessanti a tal proposito, “La radio, l’arte dell’ascolto”, è molto attuale ancora oggi, a distanza di 71 anni dalla sua stesura. Scritto nel 1936 e ripubblicato con una nuova introduzione nel 1978 (che mostra un Arnheim più maturo rispetto alla freschezza e impulsività dei suoi trent’anni) descrive il mezzo radiofonico in tutte quelle leggi fondamentali per la sua comprensione ed è utile soprattutto per chi voglia avvicinarsi ad esso professionalmente o semplicemente attraverso uno “sguardo” diverso.

In Arnheim ricorre infatti, molto spesso una terminologia relativa alla descrizione dei sensi umani, tra cui vista e udito: questa la chiave di lettura del suo pensiero in merito alle distinzioni tra i vari mass media. Vivendo in un’epoca di trasformazione, “toccando” con mano la nascita della radio all’indomani del teatro, del cinema, ma anche della temuta televisione, è riuscito a delineare una panoramica completa sull’evoluzione tecnologica della comunicazione e sul suo rapporto del pubblico.

Le sue riflessioni sono frutto di osservazioni e differenziazioni: se da un lato vi è l’esistenza di un linguaggio visivo e di un pubblico passivo, dall’altro ve n’è un altro auditivo con un pubblico fortemente attivo. Questo il caso della radio, di cui esalta quella che la maggior parte dei critici, dopo l’avvento della televisione, ritenevano fosse il più grande difetto che l’avrebbe portata al declino: l’assenza di immagine.

Oggi siamo sempre più abituati alla realtà delle radio in tv, delle web radio supportate da webcam, ma secondo voi: un’immagine fortifica o indebolisce la comunicazione radiofonica?

Le radio cerca la sua forma

Pubblicato in Italia per la prima volta nel 1938 con il titolo “La radio cerca la sua forma” questo libro espone per la prima volta la tesi secondo la quale esiste un nuovo linguaggio auditivo in grado di ritenersi arte.

I primi ad interessarsi alla forma della radio furono, tra gli anni venti e trenta, molti giovani artisti d’avanguardia, intellettuali e persino uomini di cinema: l’arte cinematografica andava maturandosi, proprio in quel periodo, nel passaggio dal muto al sonoro, nel 1927, con il film “The jazz singer” (“Il cantante di jazz”), ma il medium radiofonico aspettava ancora di essere riconosciuto come autonomo. Si parlò per la prima volta di “arte dei rumori” nel 1913 con il pittore e sperimentatore futurista Luigi Russolo, ma la radio, attraverso la filodiffusione, poteva trasmettere di più: rumori, suoni, musica e parola parlata.

Poteva la radio considerarsi arte?

Questa la domanda che si pose Arnheim osservando il carattere riproduttivo dei nuovi mezzi, visivi e acustici, di comunicazione. Si trattava di semplici linguaggi destinati a riprodurre qualsiasi cosa o al contrario essi potevano essere usati coscientemente, non casualmente, contribuendo a costruire una nuova dimensione comunicativa? La sua riflessione sull’arte radiofonica e le sue risposte partono dal riconoscimento di quelle che lui stesso chiama “smagliature del mezzo”, imperfezioni, deficienze: la radio appariva più difettosa del cinema poiché trascurava la sfera del visivo, quella sensorialmente più ricca. Allo stesso tempo, però, erano proprio quelle mancanze a renderla, ancora più del film, perfetta. L’ascoltatore, oltre a concentrarsi sulla parola e sulla musica, aveva un ampio spazio destinato alla riflessione e al pensiero.

Arnheim, descrivendo un mondo “organizzato ad orecchio”, afferma che esistono solo due arti capaci di rinunciare completamente all’occhio: la musica e la radio. A differenza delle arti ottiche, caratterizzate da colore, forma, superficie e grandezza, sviluppate nelle tre dimensioni della spazio e rese visibili dalla presenza necessaria della luce (condizione non sempre possibile), quelle uditive conoscono solo uno spazio, l’estensione, che si sviluppa per mezzo dell’aria, la quale muovendosi genera il suono. Proprio grazie all’aria, sempre presente, si può costruire quella che lui definisce “un’immagine acustica del mondo“.

Si pensi alle sale di trasmissione, coperte di tappeti dove non si sentono i passi e le cui pareti inghiottono la voce…(al) microfono metallico che assomiglia a uno strumento da dentista…al rischio di un discorso improvvisato davanti alle orecchie del mondo…alle lunghe serate piene di sorprese davanti alla radio dove tu, un dio o perlomeno un Gulliver, puoi scombussolare il mondo girando un bottone e seguire avvenimenti che sembrano così concreti come se avessero luogo nella tua stessa stanza e al tempo stesso così lontani come se non fossero mai esistiti.”

(tratto da: Rudolf Arnheim, La radio, l’arte dell’ascolto e altri saggi, Editori Riuniti, 2003, p. 28)

Articolo a cura di Laura Fichera

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