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Radiofonici si nasce o si diventa?

Radiofonici si nasce o si diventa? La radio si studia o si fa? Forse questa è la domanda delle domande per quanto riguarda la radio: quante volte abbiamo dibattuto su questo argomento e quante volte chiacchierando con amici e colleghi ci siamo riferiti ad un altro speaker (lamentandoci, dai ammettiamolo…) dicendo che non era in grado di fare questo lavoro, che non capivamo come poteva stare in onda o al contrario di quanto fosse convincente il suo stile nonostante non avesse molta esperienza col mezzo.

La cosa positiva e negativa di un lavoro come questo è che sentendo qualcun altro in onda si cerca sempre di rapportarlo a sé stessi, chiedendosi se anche noi saremmo in grado di fare la stessa performance, cercando di capire quali sono i suoi pregi e i suoi difetti rispetto a noi e spesso immaginandoci seduti al suo posto. L’aspetto positivo di questo ascolto è che spesso si impara tanto, riutilizzando poi quello che ci torna utile anche nel nostro programma, quello negativo è che troppo spesso la “valutazione” di un altro speaker è peggiore rispetto a noi.

“Perché questo sta in onda?”, “Se ha un programma lui potrei avercelo anch’io”, “Io credo di essere meglio di lui” penso siano frasi che almeno una volta vi sono passate per la testa. Se poi questo si ripete con vari speaker, su vari livelli e su varie emittenti meglio farsi un esamino di coscienza, perché ci saranno sempre persone più brave di noi e proprio da queste bisogna continuamente imparare.

E a proposito di imparare, la questione legata al discorso appena trattato è semplice: uno speaker diventa bravo per talento innato, perché ha studiato tanto o dopo anni di esperienza, gavetta e programmi? Le scuole di pensiero che si alternano su questa risposta sono infinite, c’è chi vi dirà che non bisogna mai smettere di studiare, chi che la radio non si impara sui libri ma facendola nel quotidiano e chi vi darà versioni ancora diverse. Proviamo a fare un po’ di ordine e a capire cosa c’è di vero e cosa no. O almeno io provo a darvi la mia opinione poi mi farebbe piacere sentire la vostra.

La radio non si studia, è vero, si impara sul campo e solo continuando a fare programmi e dirette, perché la gestione dell’imprevisto e delle emozioni oltre che la struttura e lo stile con cui si porta avanti un programma sono quello che alla lunga fa la differenza. È altrettanto vero però che la radio all’inizio si deve studiare e imparare. La voglia e il desiderio di provare a cimentarsi con il ruolo di speaker, anche solo per curiosità, derivano sicuramente da una grande passione personale ma ci sono delle tecniche, la terminologia specifica, la spiegazione dei vari strumenti che nessuno vi insegna e in questo caso dovete per forza frequentare un corso e rivolgervi a dei professionisti.

Lo studio successivo poi può distaccarsi da testi e libri perché, come dicevo prima, per crescere, una volta apprese le nozioni di base e aver preso dimestichezza con la radio frequentando un corso, serve necessariamente ascoltare tanto gli altri speaker, che siano più o meno bravi, più o meno famosi e affermati, perché solo così si diventa ancora più professionali. Altrettanto importante poi, ovviamente per chi ne ha la possibilità, è poter fare delle dirette, gestire un programma e riascoltare quello che si è fatto. Personalmente non credo molto al valore della post-produzione o dei programmi registrati come banco di prova, perché la possibilità di rifare e sbagliare influenzerà parecchio la vostra performance e perché l’ansia della diretta è qualcosa di irriproducibile, però come dicevo capisco anche che oggi non sia così facile trovare un’emittente disposta a farvi fare un programma in diretta.

Concludendo, credo che la radio si impari in due fasi: nella prima, quella più teorica, si devono porre le basi per conoscere e comprendere al meglio quello che andrete a fare e per quello serve necessariamente frequentare un corso, studiando quasi come se tornaste a scuola. Nella seconda, quella più autonoma, è molto utile ascoltare più speaker e programmi possibili e carpire da loro quello che vi manca e colmare la distanza con i professionisti, oltre che riascoltarvi e cercare di fare qualche programma in diretta. In questo caso “imparare” non è legato allo studio vero e proprio ma ad una tecnica di ascolto che deve portarvi a trovare quegli elementi che vi servono per migliorarvi ed avvicinarvi al professionismo.

Poi ovvio, ci vuole una dose innata di talento, una grande passione che deve tenervi lontani dalla radio per non più di un minuto, conoscenza musicale, ritmo, stile, credibilità, comunicatività, energia, entusiasmo e convinzione. Ma in questo caso, purtroppo, non ci sono scuole, corsi o tecniche che possano aiutare. Solo la fortuna di avere un dono e di essere quel talento che ancora manca e a parità di preparazione e bravura è proprio quel qualcosa di più che uno ha di natura che alla fine fa la differenza. E voi pensate che la radio si impari o si faccia? Talento o preparazione? Studio o esperienza?

Articolo a cura di Nicola Zaltieri

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