HomeMagazineLinus si racconta: La musica la trovi ovunque. La differenza la fa chi va in onda

Linus si racconta: La musica la trovi ovunque. La differenza la fa chi va in onda

Qualche giorno fa vi avevamo comunicato un’intervista di Dj Ringo, speaker di Virgin Radio, in cui diceva cosa ne pensava della radio di oggi.

A farlo per Repubblica.it è stato anche Linus, direttore artistico e speaker di Radio Deejay.

Inizialmente spiega quando vorrebbe smettere di fare radio“Ma com’è bello fare la radio. Mi ero ripromesso di smettere a 42, come i chilometri della maratona, una delle mie passioni, invece non ce l’ho fatta e ora mi sono dato come traguardo i 45, come i giri dei dischi di quando eravamo piccoli”.

Per Linus infatti la radio è ancora tanto bella: “Perché la radio è semplice e quindi vera. È il mezzo più facile e proprio per questo più difficile. La tv ha bisogno di struttura, di persone, di immagini che spesso valgono da sole, la radio no, puoi farla ormai da solo, con un computer che ha tutte le canzoni del mondo. Ma poi per costruire la differenza ci devi mettere del tuo, devi raccontare delle cose, usare l’ironia. E questo la fa essere la più bella”.

Poi fa invece un salto nel passato e descrive com’era la radio di un tempo: “Un sogno. L’ingenuità di chi la faceva. Il divertimento. Allora mancava il punto di arrivo, nessuno di noi sapeva dove poteva arrivare né tantomeno pensava che quello potesse diventare il lavoro della vita. Adesso chi comincia, che so, a fare tv ha Bonolis come riferimento, la radio Fiorello, un youtuber Chiara Ferragni, tanto per fare qualche esempio. Noi no, non avevamo nessuno. O meglio, avevamo One O One, chi andava in onda lì era un mito perché poteva passare dischi che noi giovani non potevamo nemmeno pensare di avere. Ma solo per quel motivo”.

Poi parla di come stia la radio oggi:“Bene ma si sta preparando a un cambiamento inevitabile. Diventerà come negli altri paesi del mondo, Stati Uniti, Francia, Inghilterra. Lì hanno già tirato i remi in barca, poche parole, un solo programma di intrattenimento alla mattina e poi via di flusso. Qui in Italia ancora ci salviamo perché in onda ci sono quelli della mia generazione. Noi diamo ancora personalità alla radio, alle nostre trasmissioni. E la piccola rivalità di cortile tra le emittenti è uno stimolo continuo, una ricerca ad essere considerati i più bravi da chi ascolta”.

Claudio Cecchetto ha detto che per inventare qualcosa di nuovo ci vorrebbero i soldi di chi ha creato Facebook e che quindi non si può fare. “Non credo che sia una questione di soldi. O meglio, non solo una questione di soldi. Le cose nuove sfondano proprio perché sono nuove, quando sono nati Facebook o Youtube non avevano i mezzi che hanno adesso eppure hanno fatto centro. Noi quando abbiamo cominciato a fare radio non avevamo nulla eppure abbiamo inventato un genere che in Italia non c’era”.

Per Gerry Scotti la svolta è stata Deejay: è lì che fare la radio è diventato davvero un lavoro. “Vero, Deejay già in partenza era proiettata nel futuro. C’era l’idea da subito anche se in avvio era un po’ sgangherata. C’era un obiettivo: andare a cercare i giovani che non ascoltavano nulla. Questo soprattutto con la musica, quella inglese, i Duran Duran e gli Wham per esempio”.

Successivamente descrive la Radio Deejay di oggi: “Una radio che punta più sui personaggi e sulla personalità perché la musica la trovi ovunque e allora la differenza la deve fare chi va in onda. Mantenendo anche fede al ruolo del deejay: guardare oltre, saper cogliere i segnali per proporre qualcosa di autentico”.

Poi racconta della sua radio preferita negli anni ’70: “Beh, come posso avere dubbi? Milano International. Lavorarci era il sogno della vita per tutti noi che ci avvicinavamo a quel mondo, da ascoltatori o da deejay di piccole emittenti. La mitizzavamo anche in modo esagerato, tutto andava oltre la realtà. Penso a Leopardo, un mostro per quegli anni, avanti anni luce, noi rimanevamo incantati per come annunciava in inglese salvo poi scoprire, quando l’ho conosciuto, che l’inglese lo conosceva normalmente ma la sua musicalità lo trasformava in madre lingua. Ho un solo rimpianto. Che quando ci arrivai io One O One aveva già perso un po’ quella magia”.

Il ricordo più bello di Radio Milano International“Ne ho uno che fa capire ancora una volta che cosa era Milano International per noi. Una sera grazie a un amico riuscii ad entrare a One O One, sarà stato il ’77 o il ’78, quello non lo ricordo bene. Ma mi ricordo ancora bene l’emozione, stava trasmettendo Leopardo. E quando tornai a casa c’era mio fratello Albertino ad aspettarmi, voleva sapere tutto e io presi un foglio e disegnai la piantina della radio, qui ci sono i dischi, qui si va in onda…”.

Milano e la radio, un’accoppiata vincente“Milano e le radio sono andate di pari passo, energia pazzesca dei primi anni Ottanta, il buco nero e il vuoto dei Novanta, la ripartenza nei Duemila e l’esplosione di questo ultimo periodo. E non è un caso che tutte le emittenti nazionali, anche quelle non milanesi, abbiano deciso di venire qui. Milano è la capitale della radio”.

Infine elenca i suoi 3 conduttori preferiti: “Gerry Scotti, P3 Piero Cozzi perché è stato il primo e perché si è tolto presto dalla radio mitizzandosi, e Claudio Cecchetto che non era forse un grande deejay nel senso tecnico ma che già mostrava una creatività superiore”.

Articolo a cura di Francesco Pinardi

Francesco Pinardi

Francesco Pinardi

Conduttore radiofonico, speaker, giornalista e studente di Scienze della Comunicazione presso l'Università degli Studi di Torino. Leggi i miei articoli

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