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Le Radio di oggi cercano solo il personaggio?

Non so voi, sarà forse il caldo di questi giorni a darmi alla testa, ma quello che voglio raccontarvi può essere definito a tutti gli effetti come uno sfogo, dovuto forse all’avere sempre più conferme del fatto che la radio, soprattutto negli ultimi tempi, ha degli aspetti e delle logiche che la legano molto e la accomunano ad altri ambienti lavorativi.

La constatazione, che non sarà certo una novità per chi ha quotidianamente a che fare con questo mondo, è quella di una realtà all’interno della quale il “personaggio” è sempre preferito allo “speaker” in senso vero e proprio. Fatta questa premessa, la cosa che personalmente noto sempre più spesso è che tutto ciò non accade solo nei grandi Network, in quelle che sono delle vere e proprie “radio-aziende” che pertanto devono prima di tutto (ahimè, obbligatoriamente) fare i conti con ascolti e fatturato, ma ormai questo “vizio” si sta diffondendo sempre più anche nelle realtà locali o piccole.

Qualunque sia il direttore artistico o la persona di riferimento di uno o dell’altro Network, non troverete mai e poi mai (spero di essere smentito, ma dubito fortemente) qualcuno che con totale tranquillità e con molta sincerità sarà disposto ad ammettere che il “cantante X”, il “personaggio televisivo Y” o “il mago della rete Z”, sia entrato a far parte della squadra radiofonica non per le sue reali capacità, quanto per la sua notorietà (e il bagaglio di potenziali ascoltatori annesso). Sia chiaro, non voglio generalizzare, sono il primo a sostenere che tra questi professionisti ci sia anche qualcuno che, pur non essendo “nato in radio”, la radio la sa fare (o ha imparato a farla) davvero bene. Sto dicendo che è abbastanza triste ascoltare i voli pindarici fatti dall’uno o dall’altro direttore/responsabile radiofonico per giustificare una scelta in maniera poco onesta.

Sì, forse lo dirò anche con quel filo di invidia di chi sta in una piccola radio e amerebbe, come moltissimi, poter provare l’emozione di parlare e regalare sorrisi ad un pubblico più ampio, ma quel che voglio dire è che è difficile credere a chi motiva certe scelte più dal punto di vista “tecnico” (bravura e professionalità del personaggio) che “pratico” (fare ascolti e quindi soldi).

Diciamo che fin quando ciò si limitava al magico mondo delle radio “importanti” e quindi nazionali, la cosa poteva anche (non) andarmi bene, nel senso che cercavo di farmene una ragione. Quando però, qualche settimana fa, mi è capitato di scambiare due parole con un paio di amici che erano alla ricerca di una nuova emittente da cui trasmettere, mi sono cadute le braccia (e voglio essere educato).

Storie di direttori che cercano programmi “originali” in cui dietro a questa definizione c’è tutto e niente, speaker che devono necessariamente essere folli, clown o ai limiti della pazzia. Richieste di collaborazione per animazione a feste, feste e ancora feste. Non che non siano importanti per una radio anzi, però possibile che tutto sia riconducibile sempre e solo a questo? Programmi che vanno in onda con tempistiche fuori dal comune, interventi fuori tempo massimo, canzoni trasmesse in maniera casuale. Non voglio passare per “bacchettone”, per “quello all’antica” o per “lo speaker professionista” (cosa che non sono), però chiedo tanto se mi piacerebbe sentire parlare di “radio” in maniera più “normale”, nel senso letterale del termine?

E’ assurdo pensare o pretendere che, almeno chi fa radio per passione o chi milita in realtà locali, possa imparare davvero “come si fa” e “cosa è” la Radio vera, con la “R” maiuscola? Chiedo troppo se dico che mi piacerebbe sentire e vedere, anche nel piccolo, persone che abbiano qualcosa da dire, da raccontare agli ascoltatori e non “pazzi egocentrici” che fanno una trasmissione più per loro che per chi ascolta?

PS: Scusate lo sfogo…

Articolo a cura di Mattia Savioni

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